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Sul coronavirus
dobbiamo credere
alla propaganda cinese
o alle panzane occidentali?

Bruxelles ha accusato Pechino di diffondere una “enorme ondata” di notizie false sul coronavirus. Mercoledì scorso, la vice presidente della Commissione Ue, la ceca Vera Jourova, ha dichiarato senza mezzi termini che il governo cinese sta conducendo «operazioni mirate per influenzare (l’opinione pubblica) e campagne di disinformazione nell’Unione europea, tra i suoi vicini e a livello globale».

 
Dunque – sembra di capire – dobbiamo stare attenti non più soltanto alla concorrenza sleale cinese, alle acquisizioni industriali cinesi, ai “virus cinesi” (©Donald Trump), ma anche alle… panzane cinesi!

 
Certo, gli esempi di bufale diffuse anche da canali riconducibili alla diplomazia cinese non mancano. A irritare i funzionari della Ue hanno contribuito quelle su medici e infermieri francesi che avrebbero abbandonato i pazienti lasciandoli morire nelle case di cura e su un gruppo di parlamentari transalpini che avrebbe rivolto insulti razzisti al segretario dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’etiope Tedros Adhanom. Inoltre – come qualsiasi regime autoritario – quello cinese negli ultimi mesi ha diffuso attraverso i suoi media ufficiali (radio, tv, social…) i suoi punti di vista sulla pandemia come se si trattasse di verità assolute e indiscutibili.

 
Il fatto è che la propaganda cinese è impegnata in un durissimo confronto sulla narrazione dell’origine e della risposta all’epidemia di nuovo coronavirus con la propaganda nemica, di gran lunga più sofisticata e pervasiva in Occidente, guidata com’è da pochi colossi dell’informazione di stretta osservanza atlantica che conoscono alla perfezione il loro target, l’opinione pubblica occidentale.

 
Contro la Cina qualche giorno fa è stata scomodata nientepopodimeno che Harvard. Uno studio della prestigiosa università statunitense ha ipotizzato che il virus si sia diffuso a Wuhan già a partire dall’agosto 2019. Di conseguenza, il governo cinese l’avrebbe tenuto a lungo nascosto. Le prove? Un aumento (registrato dalle riprese satellitari), da agosto a dicembre, delle automobili parcheggiate in cinque ospedali di Wuhan su sei presi in esame e un incremento delle ricerche su internet delle parole “tosse” e “diarrea”. Una ipotesi a dir poco debole, come non hanno mancato di rilevare anche diversi scienziati: concentrando l’analisi su Wuhan (senza prendere in esame altre aree della Cina) si forza la relazione tra l’aumento delle auto e la diffusione del virus; inoltre le immagini satellitari acquisite sono poco chiare. Ciononostante i media occidentali hanno dato grande risalto alla “notizia”, relativa tra l’altro a uno studio che non ha ancora superato lo scoglio della “peer review”.

 
Ma come dimenticare il caso della gran quantità di urne cinerarie distribuite alla gente in fila in un cimitero di Wuhan, che avrebbe dimostrato che i morti da coronavirus in Cina sono stati molti di più (“fino a dieci volte di più”) dei 4.634 ufficialmente dichiarati. Le code all’esterno del cimitero erano dovute al fatto che il camposanto riapriva dopo settimane di chiusura e al distanziamento sociale, e la fotografia di migliaia di urne disposte l’una sull’altra faceva un certo effetto. Tutto ciò però non provava assolutamente nulla, nonostante anche in questo caso i media occidentali abbiano utilizzato le immagini per “dimostrare” che la Cina aveva mentito.

 
Qualche settimana fa, Trump ha fatto distribuire ai candidati repubblicani al Senato un manuale di una cinquantina di pagine pieno d’istruzioni su come attaccare la Cina in campagna elettorale, pieno di accuse sulle presunte menzogne di Pechino.

 
E come dimenticare la terribile insinuazione (mai provata, giudicata infondata dagli scienziati, eppure diffusa ad nauseam dai media occidentali) secondo cui il “Covid-19” sarebbe stato creato in un laboratorio di Wuhan?

 

Quella in corso ormai da qualche tempo tra la Cina e l’Occidente è una competizione senza esclusione di colpi per l’influenza sul (-le ceneri del?) capitalismo globale, con la Cina che sgomita per ottenere spazio e l’Occidente determinato a mantenere il suo predominio tecnologico-militare.

 

 

Non è né la nuova Guerra fredda (non ci sono due blocchi contrapposti, ma un mondo sempre più multipolare; né la Cina né l’Occidente sono fautori di ideologie come lo erano l’Unione sovietica e gli Stati uniti) ma, come in una guerra, anche in questo scontro la prima vittima è la verità.

 

 

Insomma guardiamoci dalla propaganda cinese, ma – oggi più che mai – non possiamo nemmeno credere al “New York Times”.