chi sono archivio home



Per la prima volta
la popolazione
della Repubblica popolare
cinese diminuisce


Per la prima volta dalla proclamazione, il 1° ottobre 1949, della Repubblica popolare, la popolazione cinese è diminuita. Nel 2022 il numero dei decessi ha superato quello delle nascite (non accadeva dal 1961, dalla fine della carestia che accompagnò il Grande balzo in avanti) e i cinesi sono scesi da 1,4126 miliardi (nel 2021) a 1,4118 miliardi. La nazione più popolosa del pianeta ha perso 850.000 abitanti e, a questo punto, attende solo l’ufficializzazione del sorpasso da parte dell’India.


Secondo i dati pubblicati lunedì 16 gennaio dall’Ufficio nazionale di statistica (Nbs), nel 2022 in Cina sono state registrate 6,77 nascite ogni 1.000 abitanti (7,52 l’anno precedente), il minimo dal 1949, quando Mao Zedong annunciò da piazza Tiananmen la nascita del nuovo stato socialista in un paese stremato dopo la resistenza anti-nipponica e la guerra civile. L’anno scorso le cicogne hanno portato solo 9,56 milioni di neonati, il 9,98 per cento in meno rispetto ai 10,62 milioni del 2021. 


Tassi di natalità bassi sono comuni ai paesi che hanno raggiunto un certo livello di benessere – ad esempio, il Giappone, nel 2022, si è attestato al 7,1 -, ma la Cina ha evidenziato una progressione discendente rapidissima. I lockdown e la politica “contagi zero” possono aver influito, ma parzialmente: il rallentamento delle nascite prosegue inesorabile dal 2016.


A pesare sono soprattutto una società divenuta molto competitiva e le disuguaglianze. Li Keqiang ha ricordato che ci sono 600.000 cinesi «il cui reddito mensile è di appena 1.000 yuan» (136 euro). «Non basta nemmeno per affittare una stanza in una città cinese di medie dimensioni», ha puntualizzato il premier. Per questo diminuiscono i matrimoni, mentre la classe media – in tempi più che mai incerti – non è disposta a ridimensionare il suo tenore di vita allargando la famiglia.


Inoltre si fa sentire ancora l’onda lunga della politica del figlio unico, che ha accompagnato le riforme di mercato dalla fine degli anni Settanta, ed è stata abbandonata solo nel 2016, quando a tutti i cinesi è stato permesso di avere un secondo bebè. La crisi demografica era ormai conclamata, tanto che nel 2021 il governo ha dato il via libera anche al terzo. Forse è ancora presto per valutarne l’effetto, ma queste liberalizzazioni, così come gli incentivi finanziari dei governi locali, finora, non hanno dato i risultati sperati. Il problema della denatalità è tra i più assillanti per la leadership politica. Secondo alcune indiscrezioni il governo potrebbe aumentare dal 2% al 5% del Pil i fondi per le misure (agevolazioni all’acquisto della casa, taglio delle tasse, aiuti cash) a sostegno delle coppie con due o tre figli.


Le Nazioni Unite prevedono i cinesi scenderanno a 1,313 miliardi entro il 2050 e sotto gli 800 milioni entro il 2100.


Parallelo al calo delle nascite prosegue l’invecchiamento della popolazione. Secondo i dati del Nbs nel 2022 gli ultra sessantenni erano 280,04 milioni, l’anno prima 267,36 milioni (il 18,9 per cento della popolazione). Aumentano anche gli ultra sessantacinquenni: 209,78 milioni l’anno scorso, rispetto ai 200 milioni del 2021 (dal 14,16 al 14,85 per cento degli abitanti).


Il combinato disposto del crollo della natalità e dell’aumento dell’aspettativa di vita (78,2 anni nel 2021) avrà pesanti ripercussioni sulle casse dello stato e sull’economia. 


Nei prossimi anni il governo dovrà potenziare il fragile sistema sanitario nonché gli assegni pensionistici: sarà inevitabile tassare di più i ricchi, ma anche la classe media. Nello stesso tempo – sta già avvenendo, in sordina e in diverse province – sarà aumentata l’età pensionabile, attualmente 60 anni per gli uomini, 55 per le donne e 50 per le operaie.


I cinesi in età lavorativa raggiunsero il picco nel 2013, con 1.005.820.000 unità. Il “dividendo demografico” (il potenziale di crescita economica favorito dalla prevalenza della popolazione in età lavorativa su quella inattiva) che nel corso degli anni Ottanta, Novanta e nel primo decennio del Duemila aveva assicurato un costante ricambio di manodopera, da allora ha iniziato ad assottigliarsi.


I cinesi in età lavorativa nel 2022 erano 875,56 milioni, il 62 per cento della popolazione, in calo rispetto al 62,5 per cento dell’anno precedente.


La Cina, che ha scelto di puntare anche la prossima fase del suo sviluppo sulla manifattura – rincorrendo quella dei paesi avanzati -, è davanti a un bivio: in futuro dovrà importare centinaia di milioni di lavoratori stranieri (scelta improponibile per l’attuale sistema politico) oppure delocalizzare sempre più industrie nei paesi vicini, a cominciare da quelli del Sud-est asiatico, e aumentare notevolmente la produttività in patria.


Michelangelo Cocco è autore di Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci editore, 2022)