Il decalogo dei comunisti
cinesi: militanti perfetti
per la “Nuova era” di Xi
Mentre si appresta a celebrare (il 23 luglio prossimo) il suo centenario, il Partito comunista cinese ha varato il nuovo regolamento che disciplina diritti e doveri dei suoi 92 milioni di iscritti. Secondo una circolare del Comitato centrale che le ha redatte, le norme – che sostituiscono quelle che in vigore dal 2005 – riflettono «situazioni, compiti ed esigenze nuove», legate cioè alla controllo assoluto che il Partito ambisce a esercitare sulla società, sull’economia e sull’esercito secondo lo zeitgeist della “Nuova era” proclamata da Xi Jinping con il XIX Congresso nazionale (18-24 ottobre 2017). A tal fine il Pcc ha bisogno di membri sempre più probi, competenti e fedeli alla leadership e ai princìpi del “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era”.
Uno dei primi provvedimenti voluti dal Segretario generale fu proprio il varo – da parte dell’Ufficio politico, nel dicembre 2012 – di un Regolamento in otto punti per contrastare lo «sfoggio di ricchezza, il burocratismo e gli abusi di potere» da parte degli iscritti, in base al quale sono stati sanzionati oltre 375.000 funzionari.
Il nuovo decalogo dei comunisti cinesi consta di 52 articoli divisi in cinque capitoli e riveste una grande importanza per il partito politico più grande del mondo che Xi, fin dall’insediamento, ha puntato a rafforzare – attraverso le campagne, l’indottrinamento ideologico e massicce epurazioni – per renderlo sempre di più il protagonista assoluto del sistema politico cinese.
I membri del Pcc non sono semplici tesserati ma, in una certa misura, appartengono al Partito: nel momento in cui – al termine di un lungo e complesso processo di selezione – vengono ammessi a farne parte, accettano una morale e una giustizia (quella esercitata dalla Commissione centrale di vigilanza) parallele rispetto a quelle del resto della società. In un articolo pubblicato nel 2014 dal “Quotidiano del popolo”, l’allora capo della Commissione centrale di vigilaza e attuale vice presidente, Wang Qishan, chiarì che aderire al Partito implica la rinuncia volontaria ad alcuni diritti e libertà.
All’interno del codice appena varato, sono previsti tredici diritti attraverso i quali si articola la democrazia interna al Partito: all’informazione; a beneficiare dell’istruzione e della formazione di Partito; a partecipare alle discussioni; ad avanzare suggerimenti e proposte; a supervisionare le questioni di Partito; a richiedere dimissioni o sostituzioni; a partecipare alle votazioni; a candidarsi alle elezioni; a difendersi dalle accuse; a esprimere dissenso; ad avanzare richieste; a presentare ricorsi; a sporgere denunce.
Il regolamento disciplina anche i rapporti tra i funzionari e i semplici iscritti nonché quelli tra questi ultimi e le tante organizzazioni riconducibili al Partito comunista cinese.
In linea con la campagna anti-corruzione iniziata nel 2013 e resa “permanente” (che, finora, ha visto circa 3 milioni di iscritti puniti dalla giustizia parallela del Partito), gli iscritti vengono incoraggiati a segnalare eventuali violazioni del codice di condotta agli organismi di Partito preposti.
L’agenzia “Xinhua” ha ricordato che – in base alle nuove norme – i suoi membri possono «criticare, esporre o denunciare problemi attraverso le organizzazioni del Partito», ma che devono «evitare di diffondere informazioni a piacimento o di distorcere i fatti». La tradizionale opacità del Partito comunista cinese – a tutti i livelli gerarchici – continua dunque a essere salvaguardata come uno dei suoi punti di forza. Il Partito va configurandosi sempre più come una gigantesca setta, i cui adepti vengono scoraggiati a discutere di politica al di fuori dello stesso Pcc. «Da un lato c’è il tentativo di enfatizzare la tutela dei diritti dei membri del Partito, dall’altro viene tracciata una linea netta per dividere ciò che è considerato interno da ciò che è ritenuto esterno al Partito», ha commentato Zhu Lijia, docente dell’Accademia cinese di governo.
L’articolo 16 del regolamento stabilisce inoltre che «un membro del Partito non deve esprimere pubblicamente opinioni in contrasto con le decisioni prese dalla leadership centrale». Le fazioni interne – eliminate anche attraverso la campagna anti-corruzione – sembrano un ricordo del passato. Nonostante ciò il Partito unico ha bisogno di parlare con una voce sola, per dimostrare di essere in grado di risolvere i problemi di una società sempre più complessa e stratificata e, all’estero, di assecondare l’azione di una diplomazia il cui peso specifico sta crescendo rapidamente assieme al ripiegamento degli Stati Uniti su una dimensione sempre più nazionale.
Michelangelo Cocco è autore di Una Cina “perfetta” La Nuova era del PCC tra ideologia e controllo sociale (Carocci editore).