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Embargo Usa più duro
contro Huawei, e Pechino:
pronti a colpire Apple
e le altre big high tech Usa

Lo scontro tra Cina e Stati Uniti per il primato tecnologico ha di nuovo al centro Huawei mentre si inasprisce, coinvolgendo le principali multinazionali del settore, e intrecciandosi con la corsa per le presidenziali statunitensi.

Ieri l’Amministrazione Trump si è mossa per bloccare le forniture globali di microprocessori a Huawei, il gigante della telefonia cinese ancora in parte dipendente da “core technology” importata dall’estero. Una nuova norma varata dal dipartimento del Commercio Usa infatti imporrà ai produttori stranieri una licenza del governo statunitense per vendere a Huawei microprocessori al cui interno sia presente tecnologia Usa. Il divieto di rifornire di componenti chiave la multinazionale cinese viene in questo modo, di fatto, esteso anche a compagnie non statunitensi.

 

Un esempio delle aziende colpite da quest’ultimo provvedimento Usa – entrato in vigore ieri, con un periodo di grazia di quattro mesi – è il colosso taiwanese TSMC, che non a caso ha annunciato un investimento da 12 miliardi di dollari per costruire in Arizona un impianto produttivo che a regime impiegherà 1.600 lavoratori. Secondo il comunicato di TSMC, si tratta di «un progetto di importanza strategica per dar vita a un ecosistema di microprocessori statunitensi vitale e competitivo che permetta alle principali multinazionali Usa di fabbricare i loro microprocessori all’avanguardia all’interno degli Stati Uniti». Il nuovo stabilimento fabbricherà, tra l’altro, processori a 5 nanometri che verranno impiegati negli strumenti più avanzati nel settore delle telecomunicazioni e della difesa.

 

Intel sposa la strategia di Trump: investimenti

nelle startup cinesi e processori made in Usa

 

Il nuovo divieto voluto dagli Usa e l’entità dell’investimento taiwanese confermano la determinazione dell’Amministrazione Trump a privare la Cina di strumenti essenziali – finora liberamente disponibili sul mercato – al suo avanzamento tecnologico ed economico e a metterli sotto tutela statunitense. Secondo il segretario del Commercio, Wilbur Ross, si tratta di «un altro segnale che l’agenda politica del presidente Trump ha portato a una rinascita della manifattura americana». E, d’altro canto, queste misure non potranno che accelerare lo sviluppo “autoctono” della Cina nel settore dei microprocessori, dei quali ha assoluta necessità per trasformare la sua industria 2.0 in una manifattura sul modello di quella 4.0 dei paesi più avanzati.

Pechino ha risposto subito a quello che considera un tentativo di frenare le sue ambizioni.

 

Secondo quanto riportato dal “Global Times”, il governo cinese è pronto a inserire in una lista di “compagnie inaffidabili” corporation del calibro di Apple, Cisco, Qualcomm… Contro queste compagnie – che producono in Cina una parte rilevante del loro fatturato – Pechino sarebbe pronta a varare “restrizioni” e avviare “indagini”, mentre contro il colosso dell’aeronautica Boeing sarebbe pronta una “sospensione” degli ordinativi.

 

«Sembra che gli Stati Uniti stiano aumentando i loro sforzi per schiacciare le compagnie high-tech cinesi – si legge in un editoriale pubblicato dal quotidiano nazionalista. La Cina deve prepararsi allo scenario peggiore di una completa separazione dagli Stati Uniti nel settore high tech. Anche se la minaccia dell’Amministrazione Trump di un “decoupling” dalla Cina fa parte della sua strategia elettorale, l’approccio radicale di reprimere la Cina è diventato una tendenza irreversibile negli Stati Uniti».