Hong Kong ferita aperta,
due anni di permesso
negli Usa per i ribelli
Pechino: è un’ingerenza
La ferita della repressione del movimento pro-democrazia di Hong Kong è ancora aperta, pronta a deprimere ulteriormente la relazione tra Pechino e Washington. Per sostenere chi nell’ex colonia britannica si oppone al partito comunista cinese Joe Biden ha annunciato giovedì scorso l’estensione dello speciale permesso di residenza temporaneo (deferred enforced departure, Ded), che consentirà a migliaia di hongkonghesi di rimanere negli States altri due anni per cercare lavoro. Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che alla base della sua decisione ci sono «motivazioni essenziali di politica estera». Secondo Biden «offrire un rifugio sicuro ai residenti di Hong Kong che sono stati privati delle loro libertà garantite (dalla costituzione, ndr) promuove gli interessi degli Stati Uniti nella regione».
Potranno ottenere 24 mesi di Ded tutti gli hongkonghesi che, fino al 26 gennaio, si trovavano negli Usa avendovi “vissuto ininterrottamente”. Secondo la stima della sicurezza interna, erano 3.860 i beneficiari al momento del varo del precedente provvedimento presidenziale, nell’agosto 2021, che nei 18 mesi successivi sono certamente aumentati. Come che sia, poche migliaia di persone, la stragrande maggioranza delle quali proverà a rifarsi una vita lontano dal Porto profumato. Qualcuno si unirà alle associazioni che si battono contro Xi Jinping e compagni, che tuttavia dall’altro lato del Pacifico non hanno alcuna possibilità di influenzare il corso degli eventi nella Repubblica popolare.
Regno Unito, Taiwan, Canada, Australia: sono tante le strade che hanno preso gli hongkonghesi del movimento dopo la sconfitta del 2020. Le ong stanno facendo pressione sul Congresso Usa per far ottenere loro lo status di rifugiato, mentre a Capitol Hill si discute della possibilità di procedure d’immigrazione snellite per lavoratori “altamente qualificati”. Tutto dipenderà dalla piega che prenderanno nei prossimi mesi i rapporti tra Pechino e Washington.
Il governo cinese ha protestato per quella che ha definito una «interferenza negli affari interni della città». Secondo il ministero degli esteri di Pechino, la mossa di Biden mira a favorire il caos, garantendo protezione a «forze anti-Cina che hanno lasciato Hong Kong».
Per Washington invece il nuovo Ded ordinato da Biden segnala che la questione di Hong Kong è irrisolta e rientra nello scontro tra democrazia e autoritarismo. Un affronto per Xi, che nei suoi due più recenti discorsi solenni (l’ultimo dell’anno e in occasione del XX congresso del partito) ha incluso tra i suoi successi politici proprio il «ritorno dell’ordine a Hong Kong», grazie alla «determinata applicazione» del principio “Un paese, due sistemi”.
Durante e dopo l’ultimo movimento pro-democrazia che ha scosso la metropoli finanziaria tra la primavera 2019 e l’autunno 2020) sono state fermate e arrestate circa 10.000 persone, 3.000 delle quali sono state in seguito incriminate. Di queste ultime circa 1.700 hanno subito conseguenze giudiziarie.
E a ricordare quanto la legge sulla sicurezza nazionale del 2020 e la riforma elettorale dell’anno successivo – entrambe redatte dal parlamento di Pechino – hanno compresso la libertà d’espressione e gli spazi di agibilità politica, proprio in questi giorni si sta celebrando il processo contro Stand News, uno degli ultimi organi d’informazione chiusi, nel dicembre 2020, in applicazione delle nuove norme liberticide.
L’ex caporedattore Chung Pui-kuen e l’ex caporedattore ad interim Patrick Lam, sono comparsi negli ultimi giorni in tribunale, dove entrambi devono rispondere dell’accusa di “pubblicazioni sediziose”. La procuratrice capo, Laura Ng, ha portato in aula diverse vignette pubblicate dal giornale online, tra le quali una che rappresenta il coronavirus con il volto di Xi, che naviga da una parte all’altra dell’Oceano. «Vuole dire che il presidente Xi è un coronavirus?», ha chiesto il magistrato a Chung. «Il disegnatore ha usato il volto del presidente Xi perché simboleggia la Cina. So che alcuni possono ritenere “problematico” giocare con una figura politica come questa, ma i fumetti politici spesso usano le persone al potere come simbolo», ha replicato il giornalista.
Il dibattimento riflette il cambiamento di Hong Kong, dove fino a pochi anni fa circolavano liberamente libri su corruzioni e tresche – vere e presunte tali – dei leader del partito comunista, costretta ad adeguarsi al conformismo imperante a Pechino. Ma anche la strategia radicale e suicida di alcune frange del movimento. Ad esempio, in una delle interviste di Stand News lette in aula, un manifestante racconta i suoi assalti ai poliziotti e di aver preso spunto dagli indipendentisti irlandesi dell’Ira nel suo tentativo di costruire assieme ad alcuni compagni un esercito anti-Pechino.