Hi-tech, rimonta a ostacoli
nell’era di Donald Trump
Le ambizioni della Cina per la sua industria dei semiconduttori ci diranno molto sul futuro delle relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti. Gli obiettivi di Pechino – e il modo in cui intende raggiungerli – solleveranno questioni particolarmente scomode per i governanti statunitensi. Si tratta di problemi che stanno venendo a galla in diversi altri settori chiave, e il modo in cui verranno risolti in quello dei semiconduttori chiarirà se i due paesi saranno in grado di elaborare un modus vivendi per i loro rapporti commerciali.
I semiconduttori rappresentano un tassello fondamentale dell’odierna economia della conoscenza hi-tech e alimentano qualsiasi cosa: dai telefoni cellulari alle attrezzature di diagnostica medica ai pannelli solari. Perfino le armi più sofisticate dipendono dalla tecnologia dei semiconduttori. Mantenere una posizione di leader in questa industria critica costituisce uno dei sigilli di garanzia che distingue le economie avanzate dalla massa delle altre.
La Cina è diventata il maggior centro globale di esportazione dei tanti prodotti ICT che funzionano grazie ai semiconduttori, ma rimane tuttora molto indietro rispetto ai paesi leader nella capacità di produrre i semiconduttori necessari per far funzionare questi prodotti.
Tant’è che la più importante azienda cinese di semiconduttori, la SMIC, ha una fonderia vecchia di due-tre generazioni. Le compagnie cinesi non possiedono il sofisticato know-how per architetture per applicazioni avanzate e devono dunque importare circa l’80% dei semiconduttori utilizzati nella loro produzione elettronica.
Il dato imbarazzante di questa situazione è ovvio: il settore dell’elettronica è cruciale all’interno dell’economia cinese – e ammonta a 1/3 delle sue esportazioni complessive! – eppure la Cina, per fabbricare prodotti elettronici, è terribilmente dipendente dall’importazione di semiconduttori. Dunque, per risolvere questo handicap, la Cina sta provando a rafforzare le sue capacità di produrre semiconduttori.
Ma ciò pone un problema nelle relazioni Usa-Cina, a causa della strategia che quest’ultima intende seguire per riuscire nel suo intento. Pechino ha annunciato esplicitamente che intende seguire una politica industriale aggressiva e altamente interventista per sviluppare rapidamente la sua industria nazionale di semiconduttori. Gli obiettivi sono ambiziosi: per il 2030 la Cina prevede di raggiungere uno standard qualitativo avanzato a livello globale nella produzione di semiconduttori in tutti i principali settori di quest’industria.
Le tecniche che verranno utilizzate includono trasferimenti forzati di tecnologia in cambio di accesso al mercato, la richiesta o l’”incoraggiamento” nei confronti dei consumatori interni a rifornirsi presso aziende cinesi, l’erogazione di sussidi per sostenere le compagnie nazionali e la fornitura di capitali per favorire l’acquisizione di aziende straniere strategiche. Circa 150 miliardi di dollari di fondi pubblici e fondi privati influenzati dallo Stato sussidieranno investimenti e acquisizioni.
Queste politiche industriali straordinarie creeranno una serie di dilemmi spinosi per gli Stati Uniti, dal momento che mantenere la posizione dominante nell’industria dei semiconduttori è per gli Usa tanto importante quanto per la Cina è forte il desiderio di rimonta.
Di fronte a questa situazione, gli Stati Uniti hanno tre opzioni.
Anzitutto potrebbero lasciar decidere alla concorrenza del mercato chi arriverà primo, nonostante nel tentativo di avere la meglio il governo cinese stia utilizzando una serie di misure non di mercato.
In secondo luogo, Washington potrebbe utilizzare vigorosamente tutti i mezzi necessari per rovesciare quante più politiche industriali messe in atto dalla Cina possibile. Ciò implicherebbe l’utilizzo aggressivo della legislazione statunitense sul commercio – incluse rappresaglie o minacce di rappresaglie – così come, nei casi appropriati, il meccanismo di risoluzione delle dispute della WTO. La Commissione sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti potrebbe anche esaminare con maggiore severità le proposte di merger and acquisition potenzialmente sensibili.
Infine, gli Stati Uniti potrebbero sviluppare una strategia nazionale coordinata per rafforzare la competitività dell’industria Usa dei semiconduttori, una mossa che potrebbe risultare simile a molte delle politiche per le quali gli Usa hanno criticato la Cina. Del resto, la storia dell’industria tecnologica statunitense (inclusa quella dei semiconduttori) è piena di esempi di pesanti interventi e sostegni da parte del governo degli Stati Uniti e, su scala globale, quello dei semiconduttori è lontano dall’essere un vero libero mercato.
Nessuna di queste opzioni è ideale. Lasciare che il mercato sistemi tutto mentre il tuo concorrente gode di una serie di vantaggi non di mercato equivale quasi a dargliela vinta. Una rappresaglia commerciale e una risposta aggressiva aumenterebbero la possibilità di una più ampia, e indesiderata, guerra commerciale. Mentre seguire politiche industriali simili a quelle cinesi sarebbe in contraddizione con la tradizionale avversione degli Stati Uniti a privilegiare determinati operatori rispetto ad altri. E costerebbe anche un prezzo molto salato in un’era di deficit record del budget federale.
Stati Uniti e Cina dovrebbero cogliere quest’opportunità per lavorare assieme in maniera costruttiva per trovare soluzioni che impediscano l’insorgere di conflitti. Una soluzione in grado di funzionare dovrebbe includere maggiore trasparenza nel dichiarare dove e come la mano del governo sta operando, minori limiti nell’accesso ai mercati, una migliore protezione della proprietà intellettuale e un insieme di regole chiaro e prevedibile per gli investimenti, sia nel contesto di trattati bilaterali, sia attraverso altri meccanismi.
In ogni caso, la questione dei semiconduttori rivelerà molte cose su come gli Stati Uniti e la Cina affronteranno negli anni a venire la loro stretta e sempre più complessa relazione commerciale.
Tratto da EASTASIAFORUM
Stephen Olson è ricercatore presso la Hinrich Foundation di Hong Kong