Cina, scacco ai monopoli
«Basta fintech, Alibaba
& Co. devono finanziare
la ricerca sull’innovazione»
È stata una riunione foriera di importanti novità quella dell’Ufficio politico del Partito comunista cinese (Pcc) che si è svolta l’11 dicembre scorso a Pechino. Oltre ad aver puntato sul rafforzamento della sicurezza nazionale che – come abbiamo riportato in un precedente articolo –, con quello 2021-2025 che sarà approvato a marzo dall’Assemblea nazionale del popolo, entrerà per la prima volta in un Piano quinquennale, Xi Jinping e gli altri 24 componenti l’organismo apicale del Partito hanno auspicato – riferisce l’agenzia “Xinhua” – «il rafforzamento di misure anti-trust e per prevenire espansioni disordinate di capitale».
Nella nuova fase che sarà caratterizzata dalla “doppia circolazione”, il Partito-Stato punterà dunque a controllare l’ipertrofia delle compagnie tecnologiche nazionali, arginando al tempo stesso le ricadute sociali del fiorente settore fintech (fornitura di servizi finanziari attraverso internet).
Dopo un lustro di scandali il fallimento di una quantità di piattaforme, quest’anno le autorità cinesi hanno finalmente ridotto ai minimi termini il mercato del credito peer-to-peer, ovvero dei prestiti non bancari online.
Nelle ultime settimane la crisi di Danke – un servizio di intermediazione immobiliare online che ha sfrattato migliaia di inquilini, lasciando senza pigione i proprietari – ha scatenato la rabbia di proprietari e affittuari che si erano affidati alla società, controllata dalla holding Phoenix Tree, quotata a New York. I locatari corrispondevano le quote mensili attraverso WeBank (istituto di credito partner di Danke), della holding Tencent, proprietaria di WeChat e WeChat Pay.
Ma la mossa più clamorosa del governo è stato lo stop, il mese scorso, all’offerta pubblica d’acquisto sulle piazze di Shanghai e Shenzhen di Ant Financial (la finanziaria del colosso del commercio elettronico Alibaba), decretata anche a causa di suoi servizi giudicati dalla leadership di Pechino pericolosi per l’intero sistema finanziario.
La strategia del Partito non si limita a frenare l’espansione di queste aziende private nell’universo fintech, ma vuole spingerle a partecipare – aumentando gli investimenti in ricerca e sviluppo – a quella “innovazione autoctona” (zìzhŭ chuàngxīn) che dovrebbe accelerare la rincorsa della tecnologia cinese per raggiungere le economie avanzate. Sacrificare le attività finanziarie (e i relativi profitti) a vantaggio della R&D: nell’ultimo paio d’anni, il presidente cinese, Xi Jinping, ha illustrato questa direttiva nel corso di una serie di incontri con i capitalisti cinesi, invocando la loro lealtà al Partito e il loro aiuto per raggiungere il traguardo della “rinascita nazionale”.
Tang Jianwei, un economista della Bank of Communications (il quinto colosso pubblico del credito in Cina) ha spiegato in una nota che l’obiettivo del governo è obbligare queste compagnie a contribuire a finanziare in maniera determinante la ricerca scientifica di base, invece di continuare ad accumulare profitti grazie alla gestione di servizi in regime di monopolio. «Le grandi imprese tecnologiche in possesso di enormi quantità di dati e algoritmi avanzati devono farsi carico di maggiori responsabilità e spendere di più nell’innovazione tecnologica originale e fondamentale», ha spiegato Tang.
La ricerca sarà lo strumento principale per alimentare l’innovazione tecnologica al centro del XIV Piano quinquennale.
Secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs), nel 2019 la Cina ha speso in ricerca e sviluppo il 2,3% del suo prodotto interno lordo (Pil). Ancora poco rispetto a quanto investito in R&D dai paesi più avanzati, secondo i dati della Banca mondiale (relativi al 2018): Stati Uniti (2,84%), Germania (3,09%), Giappone (3,26%), Corea del sud (4,81%).
E i problemi della Cina non si limitano alla mobilitazione delle risorse, ma anche all’organizzazione e alla gestione del settore R&D, non ancora all’altezza dei paesi più avanzati. Per questo motivo – secondo Yixiao Zhou della Crawford School of Public Policy –
il XIV Piano quinquennale darà la priorità alla costruzione di una catena dell’innovazione per sostenere con continuità l’innovazione e i progressi tecnologici del Paese.
Il prossimo Piano procederà a una ristrutturazione del network di 515 laboratori (di Stato) d’eccellenza, la maggior parte dei quali è affiliata a università o ad aziende di Stato. D’ora in avanti il settore privato sarà chiamato a contribuire a rinnovare questa rete. «In futuro più laboratori di Stato d’eccellenza verranno istituiti all’interno delle aziende, rimanendo tuttavia sotto la supervisione del Ministero della Scienza e della Tecnologia (Most) per la valutazione delle rispettive qualifiche e degli standard nella produzione di innovazione originale», ha rivelato una fonte ben informata ai media hongkonghesi.
I tre “poli scientifici internazionali e dell’innovazione tecnologica” previsti dal XIV Piano quinquennale saranno l’Area della Grande baia (il cluster di undici metropoli dentro e attorno alla provincia meridionale del Guangdong), più le municipalità di Pechino e Shanghai. E, nell’attesa che questi centri siano in grado di produrre risultati simili alla Silicon Valley californiana o all’area metropolitana di Tokyo, l’importazione di talenti dall’estero (inclusi i “cinesi d’oltremare”) rappresenterà ancora un fattore importante per l’intera strategia.
Michelangelo Cocco è autore di Una Cina “perfetta” La Nuova era del PCC tra ideologia e controllo sociale (Carocci editore).