Tutte le sfide della banca
multilaterale di Pechino
La Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) è operativa solo da alcuni mesi, tuttavia l’istituzione nata su iniziativa cinese è già riuscita a superare sfide che molti osservatori ritenevano insormontabili. In occasione del primo incontro annuale del suo consiglio di amministrazione, è possibile tracciare un primo bilancio di questa ambiziosa banca di sviluppo multilaterale.
Si può affermare senza timore di esagerare che la prima sfida la AIIB l’ha vinta ancora prima di essere istituita. È infatti sorprendente che, nonostante il parere contrario degli Stati Uniti e i tanti limiti (in termini di voto) posti ai membri non-regionali, molti Stati non asiatici abbiano comunque aderito come membri fondatori. Ai membri non-regionali è riconosciuto complessivamente al massimo il 25% del potere di voto, rendendo di fatto impossibile la creazione di un “blocco occidentale” all’interno delle dinamiche della banca. Tuttavia, il grande lavoro di mediazione della Cina, unito ai vantaggi di poter influenzare i negoziati per l’accordo istitutivo, ha fatto sì che la banca vedesse fin da subito allargati i suoi orizzonti operativi, oltre il continente asiatico.
Una seconda sfida che la banca si trova ad affrontare è quella relativa al suo modello di “governance”. La AIIB può essere considerata il risultato della delusione cinese in seguito ai tentativi di riformare istituzioni precedenti senza mai veder soddisfatte le loro esigenze. La AIIB, prendendo ispirazione da istituti precedenti, propone quindi una serie di norme sulla carta innovative, ma delle quali solo con il passare del tempo si potrà valutare l’efficienza. Tra queste vi è senza dubbio l’istituzione di un “Board of Director” non permanente. Questo, differendo dai BoD degli istituti precedenti, dovrebbe rappresentare un risparmio in termini di costi e un incremento per quanto riguarda l’efficienza burocratica. Basti pensare che il BoD permanente della “World Bank” (WB) ha un costo annuale di circa 70 milioni di dollari.
La Banca guidata dalla Cina propone sviluppo sostenibile, tutela dell’ambiente e finanziamenti accessibili a tutti. Spesso però la realtà è molto diversa dai “prospetti informativi”: per valutare l’operato della AIIB bisognerà attendere i prossimi progetti e valutare come Pechino gestirà i rapporti di forza interni tra i paesi membri
Le prime attività della banca saranno attentamente osservate dalla comunità internazionale. I primi progetti finanziati dall’AIIB saranno condotti in coordinamento con altri istituti per permettere alla banca di consolidare il proprio “modus operandi” omologandolo agli elevati standard di organizzazioni come la Asian Development Bank (ADB) e la WB. Non sorprende quindi che tra le prime attività del presidente della AIIB, Jin Liqun, vi sia stata la stipulazione di accordi con altre istituzioni simili. In aprile la AIIB ha infatti siglato un’intesa con la WB per facilitare la cooperazione nei futuri finanziamenti. Per quest’anno la AIIB ha in programma di finanziare progetti per un totale di 1.2 miliardi di dollari e quest’accordo fa sì che buona parte di questi progetti vedrà un’elevata partecipazione della WB. Il mese scorso sono stati firmati altri due documenti di cooperazione: un primo “Memorandum of Understanding” (MOU) con la ADB e un secondo con la “European Bank for Reconstruction and Development” (EBRD). Si può quindi affermare che la AIIB stia efficientemente creando le basi per risultare un solido attore nel mercato degli investimenti.
Gli standard operativi della nuova banca sono il punto su cui si concentrano le perplessità di alcuni analisti. La Banca si propone come promotrice di uno sviluppo sostenibile, rispettoso dell’ambiente e al contempo accessibile a tutti senza particolari interferenze nelle questioni interne dei paesi richiedenti. Spesso però la realtà si dimostra lontana dai “prospetti informativi”.
Nel concreto, mantenere queste promesse potrebbe non essere facile. Ad esempio, la WB dal 2013 ha deciso di concedere finanziamenti per centrali elettriche a carbone, e quindi particolarmente inquinanti, solo in casi eccezionali. Queste nuove regole hanno, di fatto, impedito a nazioni come l’India di soddisfare il loro grande bisogno interno di energia a basso costo. Ci si può quindi aspettare che l’India si rivolgerà alla AIIB per richiedere i finanziamenti che lo sono stati negati altrove. La AIIB si troverà quindi di fronte a un bivio. Concedere simili finanziamenti, se da un lato potrebbe soddisfare le esigenze di nazioni in via di sviluppo, dall’altro potrebbe anche essere prova dei timori che la banca non sarà in grado di mantenere gli standard delle organizzazioni preesistenti. Per la banca è vitale riuscire a bilanciare queste due scelte. La AIIB ha infatti bisogno del sostegno dei paesi in via di sviluppo per dimostrare la sua innovazione politica; allo stesso tempo, per funzionare efficientemente, deve guadagnarsi la fiducia dei paesi più avanzati per permettersi un finanziamento stabile e costante.
Un’ultima sfida è invece tutta sulle spalle della Cina. La Repubblica Popolare, contribuendo con un investimento di quasi 30 miliardi di dollari sui 100 miliardi di capitale complessivo, è il maggior contribuente e detiene quasi il 30% del potere di voto. Con tale percentuale, anche se il potere di veto non è espresso direttamente nel trattato istitutivo, La Cina detiene un potere di veto de facto. Molte decisioni fondamentali della banca sia in ambito di gestione che in ambito di “membership” necessitano, infatti, di una maggioranza dei due terzi. Qualora la Cina lo volesse, potrebbe quindi bloccare alcune decisioni chiave per lo sviluppo e la gestione della banca. Ad ogni modo, la sfida per la Cina sarà proprio quella di utilizzare questo suo potere con saggezza, senza abusarne e senza prevaricare altri membri. Se così non fosse, la Cina rischierebbe di comportarsi come quelle potenze occidentali che ha sempre criticato in quanto ostacolo della riforma del sistema internazionale.
Manfredi Valeriani è laureato in “Relazioni internazionali” pressola China Foreign Affairs University di Pechino e studia presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma